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22 | The Proud City, A Plan for London. Se è mai esistito un Piano d’Autore

Leonardo Ciacci

ENGLISH ABSTRACT | 

The screen is open on Trafalgar Square where Londoners just emerged from the war (many of them are still dressed of military uniforms); they appear happy with their "new" city.
People-it is said in this documentary film- seems to have accepted that from the rubble of destruction can be born something new. This film speaks of a city newly developed, according with a plan developed starting from 1941, to address not only the rubble of destructions of the war, but also to change customs and sizes considered out-dated. The film shows  designs, indicate ways, techniques, protagonists and, together to all the technicians who are at work for the new plan, they appear on the screen even John Henry Forshaw and Patrick Abercrombie. They are directly explaining the plan, as it has been published in 1943 in a book of their, with the title of County of London Plan. This is clearly an example of an author plan, an innovative idea, controlled in every of its aspects and in control of the outcomes that it will be produced: "if this plan of us is carried out ".
 

 

THE PROUD CITY. A PLAN FOR LONDON

Written and directed by | Ralph Keene                                              
Director Assistant | Peter Price
Photography | Peter Hennessy
Soundtrack | Infrason
Music Composer | William Alwyn
Animation and Recording | Merton Park Studios
Editing | Peter Scott
Production | A Greenpark Production in association with the Film Producers Guild Ltd For the Ministry of Information. With: The Ht H.. Lord Latham, Leader of the London County Council; Sir Patrick Abercrombie, Professor of Town Planning, University of London; Mr J.H. Forshaw, Architect to the London County Council; Mr A.G. Ling and Mr H.A. Bray and other members of the Architects Staff.                                                                  
Associated producer | Edgar Anstey                                                  
Duration | 25' Release | London 1946, 35 mm, b/n                            
Review by | Leonardo Ciacci










FULL ARTICLE |

Nella sequenza iniziale di questo poco noto documentario degli anni ’40 del Novecento, una panoramica dall’alto mostra Londra nei suoi edifici più riconoscibili, prima che una voce fuori campo accompagni la ripresa mentre scende tra i volti sorridenti che ne affollano gli spazi per descrive il suo centro come sede di cultura oltre che di governo dell’organizzazione di paesi Commonwealth; a Trafalgar Square i Londinesi appena usciti dalla guerra, come testimoniano le molte divise visibili nelle inquadrature che si succedono, appaiono felici della loro “nuova” città.
Prima della guerra a Londra vivevano “otto milioni e mezzo di persone che li vivevano, lavoravano e si divertivano: alla luce dell’illuminazione notturna Londra appariva allora come una città capace di offrire una vita intensa e dinamica sia di giorno che di notte. Poi, come si sa, saranno i bombardamenti e gli incendi a illuminare la scena. Si tratta, nel film, solo un breve passaggio narrativo: la gente - si dice - sembra aver accettato che dalle macerie della distruzione possa nascere qualcosa di nuovo, rispetto a quello che fino a prima di allora era stato considerato come consuetudine consolidata. Il messaggio è fissato: in questo film si parlerà di una città interamente nuova, nella concezione, da far rinascere non solo dalle macerie della distruzione, ma anche da consuetudini e dimensioni da considerare superate.
Il Governo locale, attento ai bisogni della gente, è pronto a cogliere l’opportunità della ricostruzione e per questo, già dal 1941, ha chiesto agli architetti di lavorare ad un nuovo piano per la città. La prima cosa da fare - si dice, ancora - è conoscere ogni cosa riguardi la città: “la sua storia, la sua geografia…”, ciò che pensa e desidera la gente, considerando non solo le necessità della ricostruzione di ciò che è stato distrutto, ma anche di ciò che va sostituito per il suo degrado, già evidente prima delle bombe naziste. Le immagini si susseguono sicure di se nel mostrare tecnici attivi tra le macerie, al lavoro con precisi strumenti di misurazione sia all’esterno che all’interno degli edifici e, soprattutto, a contatto con gli abitanti, di cui registrano le opinioni e i bisogni.
Il film si fa immediatamente racconto di un progetto. Ne indica le modalità, le tecniche, i protagonisti, i temi, i metodi e i linguaggi. In sostanza, inizia un documentario di propaganda non solo di ciò che si è fatto con solerzia e rigore squisitamente inglesi, prima di aspettare gli eventi, ma anche di ciò che si ha intenzione di fare nell’immediato futuro per la trasformazione di Londra, portando alla portata del pubblico che si raduna nelle sale cinematografiche, la conoscenza del lavoro di coloro che progettano la trasformazione del modello stesso della città e la sua modernizzazione.
“L’elenco delle cose da fare è preciso: dobbiamo sapere come e dove la gente vive la sua giornata. Ci dobbiamo occupare dei mezzi di trasporto…del tempo che si impiega per andare al lavoro…di dove  gente lavora e in che condizioni…del suo stato di salute…” . “Dobbiamo sapere tutto di Londra, del suo passato, del suo presente, del suo futuro”.

Noi sappiamo che tutto questo sarà ricordato, studiato e insegnato come il Greater London Plan pubblicato in volume da Patrick Abercrombie nel 1944, il piano da cui nasceranno decine di New Towns e l’idea, derivata dal progetto della Garden City, di un sistema di contenimento della espansione progressiva della metropoli, fino ad allora incontrollata, per la diffusione nella regione delle nuove strutture urbane destinate ad accogliere lo sviluppo della produzione industriale che inevitabilmente avrebbe accompagnato la ricostruzione post bellica. Quello che non sappiamo o che facciamo finta di accettare senza discussione, è da dove nasce il mito dell’architetto, che da solo da il nome ad un progetto così vasto e così ambizioso.
Sir Leslie Patrick Abercrombie (1879-1957) è un accademico prestigioso: nel 1933, professore all’Università di Liverpool (1915-1935), ha pubblicato il suo Town and Country Planning[1]; un piccolo manuale di successo (di cui pare perfettamente consapevole, dato che scriverà nel 1944, che “niente ha più successo del successo”[2]) e che gli varrà il suo trasferimento a Lonrda all’University College. Peter Hall[3], ricorre ad una sua fotografia che lo ritrae sorridente, in cilindro e marsina, affiancato da due altrettanto sorridenti signore, per rappresentare la stagione dell’urbanistica accademica, quella appunto che dagli anni trenta si estende fino al dopoguerra e che, superata la fase politica dei pionieri (Patrick Geddes e Ebenezer Howard) cui pure Abercrombie si ispira, persegue un’idea di urbanistica squisitamente tecnica.

Introdotto l’argomento, nel film compaiono in sequenza personaggi diversi al lavoro nei loro incarichi istituzionali e amministrativi, tutti concordi nel lavorare alla nuova opportunità, mentre sui tavoli da disegno si fissano i grandi fogli dei progetti per la “grande Londra”. Infine, poggiato sulla scrivania dell’architetto John Henry Forshaw (1895-1973) compare una copia del County of London Plan, pubblicato nel 1943 insieme al collega Abercrombie[4]. Forshaw e Abercrombie raccontano il loro piano: si tratta di un’idea, non di un disegno, dice Forshaw; è come realizzare un giardino, gli fa eco Abercrombie. Un’animazione mostra lo sviluppo di Londra, dall’insediamento d’origine iniziale: un nucleo centrale e una numerosa serie di comunità disperse nella campagna, ad un unico agglomerato cresciuto senza “un piano”. Forshaw e Abercrombie, sono ritratti nell’autorevole (autoritario) atteggiamento di chi illustra un disegno complesso, che controlla in ogni suo aspetto e nella consapevolezza degli esiti che da esso si potranno produrre: “if this plan of us is carried out”.
Un inserto di sequenze tratte da Housing Problems, e degli slums che negli anni ’30 si mostravano come  luoghi da demolire e sostituire, fa da premessa negativa di ciò che invece è stato ottenuto, per la bellezza di Londra, con i grandi progetti di Nesh e altri architetti di pari statura: una innegabile dichiarazione di autorialità. Nella descrizione buono e cattivo si alternano in considerazioni che tutte convergono verso una dichiarazione lapidaria: “nel corso della nostra indagine abbiamo scoperto cha a dispetto di ogni errore e mancanza di disegno nella crescita della città, lo spirito della comunità è sopravvissuto”.
Continuare nella descrizione delle immagini del film è da qui in poi non necessario; basta poter immaginare architetti che illustrano progetti per situazioni da trasformare, in una successione di argomenti e di strumenti comunicativi efficaci, interessanti e di diretta e immediato comprensione. Concluderà Lord Charles Latham (1888-1970), un attivista sindacale del Trade Union per il Labour Party, poi creato Baron Latham of Hendon in the County of Middlesex ed eletto Leader of the London County Council, durante gli anni di guerra per il suo impegno nella gestione delle emergenze in città.

Nel concludere il film
Lord Lothan, dal suo ufficio (nella finzione del montaggio cinematografico), dialoga direttamente con coloro che più saranno coinvolti nel cambiamento: una mamma preoccupata per il trasferimento altrove della sua famiglia; un ragazzo entusiasta della prospettava di abitare in un luogo in cui non sia più la strada a dover fare le veci del campo da football; una giovane segretaria, preoccupata per il costo di tutto questo. Il Leader of the London County Council se ne mostra consapevole e invita a considerare il fatto che costerà comunque meno di una guerra. “Questa è la guerra di Londra” - dirà - la via necessaria perché la città eviti di restare nel degrado di molte delle sue situazioni locali e perché sia possibile approfittare pienamente dell’opportunità della ricostruzione. Charls Latham non sopravviverà politicamente all’adozione del Greter London Plan; la sua proposta di creare una Greater London Authority, frutto politico evidentemente associato al nuovo piano Forshaw/Abercrombie per la città, e alla convinzione che per la sua gestione fosse necessario un governo esteso ad un’area più vasta di quella della municipalità originaria (una sorta di trasposizione al livello del governo locale del progetto urbanistico) lo metterà in attrito con il suo partito  e lo porterà alle dimissioni nel 1947.
Alla luce di questa vicenda, colpisce ancora di più il tono con cui Abercrombie fa le sue dichiarazioni di fronte alla cinepresa; un tono, che lo fa sembrare una sorta di ammiraglio nell’atto di illustrare una strategia di viaggio o un giudice che illustra una sentenza; verrebbe da dire, un religioso nell’atto di comunicare ai suoi titubanti fedeli una verità indiscussa.

L’autorialità del piano urbanistico è argomento centrale nella postfazione di Bernardo Secchi a Urbanisti italiani[5],
un volume che nel 1992 si incarica programmaticamente di interrompere una tradizione della «storiografia urbanistica …[che] dedica abitualmente… così poco spazio alla ricostruzione della personalità umana, scientifica e professionale dei più importanti urbanisti…»[6]. A distanza di anni questo sembra un limite ormai superato, soprattutto per il sempre più frequente ricorso alla narrazione cinematografica[7], forse più adatta a ritrarre personaggi che, altrimenti, in biografie scientifiche, non troverebbero un pubblico sufficientemente incuriosito. I personaggi di cui oggi esistono bibliografie filmate, più che come urbanisti, sono ritratti come protagonisti del loro tempo, intellettuali, uomini di cultura, il  cui impegno politico, che nel progetto della città ha trovato la sua espressione più completa, ha trasformato in figure di riferimento. La questione che affronta Secchi nella sua riflessione è però più precisa, nelle intenzioni, e riassumibile in: quale rapporto di identificazione lega un urbanista ai suoi piani? A piani di cui è così inusuale sia considerato «autore»? L’autorialità, per Secchi sta nella capacità di un autore di farsi instauratore di uno «stile», di un «immaginario», adottato poi dalla «folla oscura» di coloro che quello stile hanno adottato nel lavoro corrente dell’urbanistica. La questione non pare a tutt’oggi risolta, né forse più così decisiva, se mai lo è stata, in un periodo in cui le modalità della condivisione dei piani e dei progetti di trasformazione delle città, appaiono più centrali di quanto non lo siano quelle della riconoscibilità del “progettista”.
Certo Patrick Abercrombie è  autore riconosciuto del Greater London Plan, così come Giovanni Astengo lo è del piano di Assisi o Luigi Piccinato del piano di Siena, Giancarlo De Carlo di quello di Urbino o, per risalire alle origini, come Ildefonso Cerdà lo è stato del piano di Barcellona. Ma tutti loro sono legati ai loro piani da un libro, dal numero monografico di una rivista prestigiosa o da un testo teorico, che ha reso i loro piani espressione di una idea generale. I loro piani, nella realtà, sono tutti passati per lunghi periodi di “contrattazione” che ne hanno ridotto la precisione e, a volte, completamente stravolto l’impostazione. L’urbanista torna così la sua autorialità nello scrivere libri, più che nel redigere piani.
La rappresentazione che Patrick Abercrombie da di se e del suo piano in The Proud City, mostra la forza della sua evidente personalità, del drammatico momento storico della guerra appena terminata e, in buona misura, anche del potente pensiero torico/politico, di un visionario della portata di Ebenezer Howard, l’«autore» de La Città Giardino del Futuro, cui il Greater London Plan si ispira.
Ecco un argomento su cui riflettere. Cosa ha fatto in modo che le ultime teorizzazioni d’«autore» si siano esaurite, ferme, le ultime,  agli anni ’60?


[1] Cfr. P. Abercrombie, Town and Country Planning, London 1933 (ed. it. 2001).
[2] Cfr. Gaeta, Janin, Mazza, Governo del territorio e Pianificazione spaziale, CittàStudi Edizioni, Milano 2013, p.209.
[3] P. Hall, The City of Tomorrow: An Intellectual History of Urban Planning Design in The Twenty Century, Blacwell, London 2008.
[4] P. Abercrombie, J.H. Forshay, County of London Plan, Macmillan, London 1943. 
[5] B. Secchi, Autori nella Folla: per una ricostruzione dell’immaginario disciplinare, in P. Di Biagi, P. Gabellini (a cura di), Urbanisti Italiani, Laterza, Roma 1992, pp. 567-580.
[6] In ibid. p. 570.
[7] Conf. I film documentari: L. Ciacci, Giovanni Astengo Urbanista Militante, 2009; F. Micali e Y. Parrettini, Edoardo Detti 1913-1984, Firenze 2013; E. Negroni, Pier Luigi Cervellati, Bologna 2014.


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