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13 | Unfinished Italyoltre l'interruzione (italian version)
Vincenza Santangelo
Dice di sè Benoit Felici, giovane regista italo-francese, di non aver finito l'università, di non aver completato la sua carriera di attore, di non aver mai smesso di collezionare tutto ciò che non funziona più e che è probabilmente questa sua personale affezione per tutto ciò che è incompiuto ad averlo portato alla realizzazione del suo film. Insieme a Bastian Esser (camera) e Milena Holzknecht (montaggio), Benoit Felici ha attraversato i paesaggi italiani alla ricerca delle opere pubbliche mai giunte al completamento e che non hanno mai funzionato, come se fosserolo specchio di una biografia intima e personale. Un viaggio, quello di Benoit Felici che lo porta fino in Sicilia, territorio privilegiato per la sua ricerca essendo quella la regione italiana con il più alto numero di opere pubbliche lasciate incomplete.
Le opere pubbliche interrotte, non completate, sono gli effetti collaterali dell'immenso progetto di modernizzazione del territorio italiano attuato dal secondo dopoguerra ad oggi: uno sterminato, non censito, patrimonio di opere pubbliche il cui processo di realizzazione e messa in funzione talvolta è rimasto interrotto. Quello che ne resta, sono visioni di futuri immaginati e mai avverati, che si sono frantumati diventando rovine della modernità. A volte si tratta di paesaggi interrotti che quotidianamente abitiamo, frequentemente attraversiamo e solitamente, forse inconsciamente, rimuoviamo dal nostro sguardo o registriamo come una consuetudine del nostro territorio. Nella maggior parte dei casi si tratta di paesaggi meridionali, perennemente in bilico fra l'inerzia al cambiamento e la tensione alla modernizzazione, quindi perennemente interrotti nel loro processo di costruzione e trasformazione1.
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http://www.unfinished-italy.com
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La cultura architettonica e urbanistica è impreparata a gestire questi paesaggi scartati, ma anche disorientata nel comprenderli. In questo vuoto interpretativo intervengono la fotografia, il video, le arti visive in generale, che esplorano questi territori in uno stato perenne di trasformazione con sguardi diversi e ravvicinati, cogliendone la complessità e restituendone molteplici rappresentazioni, come fa Benoit Felici nel suo cortometraggio "Unfinished Italy".
Il viaggio di Benoit nel territorio siciliano procede per tappe, per narrazioni, in cui le vicende delle opere interrotte si intrecciano con le biografie personali di chi quotidianamente abita questi luoghi. Il suo sguardo ogni volta altalena fra le opere interrotte, immobili testimoni dello scorrere del tempo e in attesa di un completamento che forse non avverrà mai; fra i racconti degli abitanti che danno voce e corpo ai futuri mancati delle opere che interrotte restano sullo sfondo; fra i paesaggi siciliani dove ricadono, proprio a sottolineare ogni volta la nostra appartenenza a questi luoghi ma l'abitudine a rimuoverli dallo sguardo.
Nel Polifunzionale di Giarre, che gradualmente la natura sta riassorbendo, Andrea Masu del collettivo Alterazioni Video e il sindaco della città immaginano un Parco Archeologico dell'Incompiuto Siciliano come monumento alla memoria di una vicenda specifica e come monito per il futuro. Lo Stadio da Polo di Giarre, mai terminato e occupato da una squadra di calcio per sopperire alla carenza di complessi sportivi, diventa l'occasione per l'allenatore di ragionare sui meccanismi di finanziamento di queste opere in Sicilia e sull'impossibilità di un completamento.
Il tronco sospeso di un viadotto a Randazzo, addomesticato tramite la realizzazione di una villetta con giardino che affaccia sul burrone, è il pretesto per la famiglia che ci vive per raccontare l'amore con cui la madre ha costruito il piccolo giardino. L'invaso della Diga di Blufi, costruita in provincia di Palermo e mai riempita d'acqua, è trasformata da un pastore della zona in pascolo per il suo gregge e diventa la scenografia per dare voce alla sua visione filosofica della vita. Storie minime che diventano uno scrigno di indizi sui paesaggi interrotti da decodificare, ma anche cartina al tornasole delle nuove modalità di abitare il paesaggio contemporaneo, che meritano di essere osservate con cura dagli urbanisti o architetti, per individuare i segni del mutamento.
In tal senso diventa fondamentale smontare i paradigmi disciplinari e le osservazioni approssimative e cristallizzate, partendo dalla costruzione di uno sguardo mobile e molteplice come quello di Benoit, capace di stare al passo dei processi che modificano questi luoghi e di mettere in campo una rappresentazione dove la reinterpretazione è già un progetto di un'immagine efficace per questi paesaggi. Il suo sguardo simultaneo e l'attenzione alle pratiche informali spingono a guardare da una diversa angolazione questi luoghi, rintracciandovi i materiali che li compongono che vengono quotidianamente smontati e riassemblati e gli usi alternativi che ne modificano il senso e l'uso a seconda delle esigenze o emergenze, restituendone un'immagine di paesaggi abitabili e legittimandone l'esistenza.
Ciò non implica un'accettazione passiva di tutte le pratiche che attraversano questi luoghi e un rifiuto totale del progetto pubblico, ma piuttosto diventa la base per costruire un progetto, architettonico o urbanistico che sia, "non deterministico", in grado di rinunciare ad uno sguardo predeterminato verso i paesaggi interrotti, provando a costruire ogni volta uno sguardo capace di cogliere le infinite variabili che li modificano, convogliando queste energie verso lo sviluppo di scenari realizzabili, che possano intercettare e adeguarsi alle reazioni e ai comportamenti mutevoli e spesso imprevisti, mettendo in gioco i nuovi attori della trasformazione.
La visione di Benoit sulle opere interrotte suggerisce di andare oltre lo scollamento del progetto dal territorio e la progressiva estraneazione dalle relazioni, preesistenze, valori e soprattutto dai suoi residui e scarti. Implicitamente consiglia di lasciare riaffiorare ciò che il progetto dall'alto ha escluso, di investigare i desideri e le reali esigenze ed emergenze di chi abita questi luoghi, di partire dalle pratiche spontanee e provare di volta in volta a tener aperto il passaggio fra queste pratiche informali, osservazione e progetto, in modo da trasformarne l'investigazione in una ricerca delle domande da formulare e nella definizione delle questioni su cui lavorare con il progetto.
1 Cfr. Vincenza Santangelo, Paesaggi Interrotti, estratto da "Paesaggi Interrotti, opere pubbliche interrotte e paesaggio italiano", Tesi di Dottorato Internazionale QUOD – Quality of Design, Dipartimento di Pianificazione Territoriale, Università Mediterranea della Calabria, 2011. E' possibile scaricare il contributo presentato in occasione del Convegno SIU 2009 dal sito www.siu.bedita.net
Vincenza Santangelo
Università IUAV di Venezia, Dipartimento di Culture del Progetto
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Planum
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