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Urbanistica e Sfera Pubblica - Review 1

by Alexia De Steffani

Come sono cambiate le condizioni all’interno delle quali si trova ad operare l’urbanista? Quale ruolo può essere riconosciuto al progetto urbano? Quale la sua capacità di “smuovere passioni” e costruire un’opinione pubblica, di parlare e farsi ascoltare?
Questi i principali interrogativi affrontati da Cristina Bianchetti. Questioni che dovrebbero essere centrali nel dibattito urbanistico, nuovamente chiamato al difficile compito di ri-definire e ri-pensare il ruolo del sapere dell’urbanista all’interno della società contemporanea. Il libro non si inserisce tuttavia nella tradizione storiografica impegnata nella ricerca di origini e nella ricostruzione di una storia disciplinare, tanto meno si prefigge l’obiettivo di approdare a conclusioni definitive; al contrario la sua attenzione è tutta incentrata sulle condizioni presenti del progetto per la città e opera nella direzione di aprire nuove piste di ricerca a partire da una riflessione circa la “capacità che il progetto mostra nel proporre un discorso all’altezza della situazione”.
Le condizioni sono cambiate. Questa dunque la presa di coscienza a partire dalla quale si manifesta con sempre maggiore evidenza la necessità di tornare a riflettere sulla città contemporanea, forse proprio a partire da un ripensamento della stessa nozione di “contemporaneità”. La fine dell’illusione della crescita urbana, immagine strettamente congiunta a quella della concentrazione; l’evaporare del tradizionale concetto di collettivo, attorno al quale si sono progressivamente costruite le forme della città contemporanea; l’avvicendarsi di un processo di individualizzazione della società; il modificarsi della relazione intercorrente tra spazio pubblico e spazio privato, con un progressivo prevalere del secondo sul primo; i processi di dismissione industriale e la progressiva depoliticizzazione dell’attività urbanistica sono solo alcuni degli elementi sintomatici di un profondo e lento cambiamento.

Cristina Bianchetti fotografa l’attuale scenario disciplinare mettendo in luce difficoltà e contraddizioni. Riscontra nell’urbanista un attore afasico, sempre più spesso incapace di scalfire immaginari consolidati con una conseguente perdita di credibilità. La sostantivazione del ragionamento sull’afasia si avvale significativamente di contributi provenienti da diversi ambiti disciplinari relegando in secondo piano - quando non addirittura mettendo a tacere - la voce degli urbanisti. Diverse sono le chiavi di lettura utilizzate per dipanare la questione: il mutamento intercorso nel rapporto tra azione urbanistica e società assume una particolare centralità: l’autrice si sofferma sulla pressoché totale inesistenza di un’opinione pubblica informata sui fatti urbani e soprattutto sull’incapacità del discorso disciplinare di formare e guidare l‘opinione pubblica stessa. Nonostante appaia evidente la differenza semantica tra sfera pubblica e opinione pubblica, con altrettanta chiarezza è possibile cogliere come il declino della prima si riverberi nell’assenza della seconda.

Il lento modificarsi del rapporto tra collettivo e privato, con il conseguente depotenziamento della sfera pubblica, e la formazione di nuovi modi di “stare in pubblico” incidono profondamente sulla capacità di azione dell’urbanista e sull’efficacia dello stesso progetto urbano. Quest’ultimo appare sempre più spesso vincolato alla dimensione biografica, incapace di visioni unitarie e di insieme e soprattutto non in grado di farsi interprete delle trasformazioni dell’economia e della società. Quanto tradizionalmente veniva considerato collettivo perde il suo carattere di bene condiviso, divenendo un nuovo materiale da progettare e reinventare in relazione alla modificazione intervenuta nelle pratiche della produzione, dell’abitare e del tempo libero. Emerge la necessità di pensare un nuovo spazio pubblico dal carattere sempre più mobile e dai confini sempre più labili.
Nel moltiplicarsi di forme del discorso tese ad evidenziare - e talvolta a celebrare - differenze ed identità territoriali, Cristina Bianchetti intravede inoltre una possibile cartina di tornasole di una progressiva ricerca di quiete. Di un atteggiamento pacificante e consolatorio. Di una diminuzione della curiosità. Della tendenza a ricondurre la complessità entro categorie che spesso finiscono col rivelare un carattere eccessivamente coprente, incapaci di restituire l’effettivo spessore dei fenomeni. Questione centrale sollevata dal libro è pertanto l’indagine dei “rapporti tra l’urbanistica e il pubblico nelle tante declinazioni che esso assume”: in rapporto allo “stare in pubblico” vengono indagate le condizioni attuali entro cui nasce e si sviluppa il progetto urbano.
Viene analizzata la fase di profonda crisi in cui versa il progetto che appare “poco attento nei confronti delle attuali pratiche di potere e di conflitto nella città che cambia, consolato da un discorso tecnico che si gioca sul piano della grammatica dei suoi elementi costitutivi”.
Il “deflagrare del pubblico” è ciò che indaga Cristina Bianchetti. Sebbene la società contemporanea sia ancora la “buona società” descritta da Dewey - capace di garantire la continua realizzazione degli individui in pubblico - non si ha più a che fare con una società dominata dall’antinomia pubblico-privato: il deflagrare del pubblico in un’infinità di situazioni minute comporta il declino di quel concetto di pubblico descritto da Habermas, Arendt e Sennet.

A cosa lascia allora il posto questa nozione di pubblico? E soprattutto come reagisce il progetto urbano? Attorno a questi interrogativi si articola il ragionamento. Costruito dal basso attraverso il ripensamento critico di alcune pratiche di progetto.
Nella prima parte del libro l’autrice procede alla ri-lettura di quattro esperienze di progettazione urbana: la progettazione di uno Schema direttore per il territorio del fiume Pescara; la redazione di un piano particolareggiato per il litorale di Chioggia; un progetto di valorizzazione e costruzione di nuove centralità per Romanina; i progetti per la “Torino olimpica”. Evitando la costruzione di resoconti completi e non volendo restituire istruzioni sui modi di fare, l’autrice procede alla messa in evidenza di altrettanti temi di riflessione per la città contemporanea. Emergono alcune questioni chiave quali il lento modificarsi del rapporto tra spazio urbano e territori esterni trasformati in campagne urbane; l’esiguità di un’opinione pubblica con il suo riverberarsi sull’inconsistenza del discorso urbanistico; il frammentarsi e privatizzarsi, soprattutto nei territori del turismo di massa, di beni tradizionalmente considerati democratici; la “domesticizzazione” del tempo libero; l’assoggettamento delle pratiche progettuali alla logica dell’evento che induce la produzione di un nuovo tipo di spazio pubblico - frammentario, mobile, fortemente specializzato e temporaneo - e la riconfigurazione dei rapporti tra produzione della città e produzione dell’economia nella società post-fordista.

Ciascuna vicenda permette dunque di porsi la domanda “cosa sia oggi la progettazione urbanistica, quale la sua sfera d’azione e quali i suoi limiti” evidenziando un atteggiamento pragmatico nei confronti del progetto, indagato dal punto di vista delle sue capacità di interferire dialetticamente con un discorso teorico più ampio.
L’ultima parte del volume affronta nello specifico la questione del “riarticolarsi della sfera del pubblico” e il processo di pluralizzazione cui è andato incontro il concetto stesso di pubblico. Il deflagrare dell’opinione pubblica e il suo progressivo indebolimento ha implicazioni dirette sul fare urbanistica. Al fine di indagare le diverse relazioni che di volta in volta si instaurano tra sapere disciplinare ed opinione pubblica - e di mostrare come l’indebolirsi di quest’ultima abbia ricadute dirette sulla cultura del progetto - Cristina Bianchetti procede alla costruzione di una topografia, ossia “uno schema che ordina modi e atteggiamenti con i quali la cultura del progetto degli ultimi quindici anni si è rapportata al problema”. Non si tratta tuttavia della costruzione di genealogie o di un quadro stabile delle posizioni. L’obiettivo di un simile lavoro sembra essere quello di aprire il dibattito verso nuove questioni, interrogando i diversi modi di fare urbanistica ed evidenziando le difficoltà che oggi il progetto incontra nell’individuare un interlocutore.


 

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